L’urgenza della pace. Di Angelo Moretti

E’ un’estate davvero dura quella che sta per finire. Abbiamo iniziato con migliaia di ettari di terra andata in fumo per incendi da dinamiche che sembrano incomprensibili ed iperboliche (dall’autocombustione agli animali cosparsi di benzina): oltre trenta discariche coinvolte negli incendi che hanno reso ancora di più soffocante una delle estati più calde degli ultimi 15 anni; rabbie esplosive nei condomìni, nelle famiglie, fino a fare letteralmente a pezzi una sorella; nelle discoteche europee ed italiane, dove all’alba si contano morti e feriti come in guerra; le Ramblas violentemente insanguinate da 4 ragazzini, di cui il “più anziano” aveva 24 anni; in Venezuela giovani universitari uccisi dal regime per difendere la democrazia e la libertà; strage di migranti in Yemen; 20 persone uccise in un ristorante turistico in Burkina; la Siria che non si spegne e le minacce esplicite e continue tra due politici spavaldi come due ragazzotti al liceo, Trump e Kim Jong-un. Ad Apice, qui da noi, una donna è stata arrestata per reclutamento di ragazzine, pronte a prostituirsi per poter comprare l’ultima novità hi-tech.
Di fronte ad una matassa così violenta il cittadino europeo rischia di imbrigliarsi, di sentirsi impotente, di rifugiare ogni speranza in un mondo migliore nel campionato che ricomincia imperterrito, e con più soldi che mai.
Oppure.
Oppure potrebbe reagire rimboccandosi le maniche. Ed anche reagire oggi chiede attenzione e studio: questa estate lancia segnali confusi anche sulle ONG che salvano le vite in mare, addirittura un lettore distratto o veloce, come la maggior parte dei fruitori delle notizie attraverso lo zapping dei social, può immaginare che sia stato decretato che salvare vite in mare da una barca possa essere reato perché aiuterebbe gli scafisti ed i trafficanti di uomini nel loro mestiere, senza distinguere tra stato e volontariato, tra ciò che tocca ad un governo e ciò che tocca alla società civile. Una vita è una vita, o si salva o si lascia morire. Come quella vita sia arrivata in acqua sta ai governi dirlo e sta ai governi evitarlo, alla società civile tocca solo il compito di toglierla dalla morte. Quindi reagire è una parola non semplice. Reagire dove? Reagire come? Reagire quando?
Settembre, che è alle porte, è sempre il mese delle promesse: una nuova dieta, migliori voti a scuola, più felicità in famiglia, prendere nuovi impegni, parlare con il caposervizio di ciò che non va al lavoro. Settembre potrebbe essere il mese in cui ognuno di noi costruisce una sua agenda di pace per l’anno che verrà.
È evidente che non interverremo nella pacificazione tra i due “giovanotti liceali”, o che difficilmente fermeremo l’eccidio yemenita o sgomineremo tutte le cellule terroristiche, ma alla radice possiamo cambiare l’humus su cui questi fenomeni si muovono, il cibo di cui si nutrono, il terreno che tragicamente fecondano: la #rabbia ed il #nichilismo. Possiamo fare qualcosa di serio contro questi due nemici del secolo, dell’Europa, del mondo. Rabbia e Nichilismo, la forza distruttrice dei legami sociali e la forza annientatrice del valore sociale e sacro dell’altro sono all’origine di tanti comportamenti umani inspiegabili. Bruciare la terra che abitiamo, dare un calcio in faccia ad un giovane durante una rissa in discoteca, ridurre in coma un altro con un pugno, guidare a 17 anni un furgoncino all’impazzata per sterminare bambini, giovani, donne e uomini, non sono problemi politici, non sono dilemmi etici, sono problemi che toccano la radice stessa del restare umani, che chiedono uno sguardo vero l’alto, verso la nostra capacità di trascendenza, ed uno sguardo concreto verso l’altro, tutti gli altri, verso la nostra concreta capacità di convivenza e convivialità.
Settembre è il mese in cui ricominciano le scuole ed i programmi, eppure immaginiamo che rabbia e nichilismo non vengano trattati, saranno tematiche a cui i giovani accederanno autonomamente attraverso il web, i social, i loro gruppi, ma non avranno cittadinanza a scuola e nemmeno nell’educazione dei padri e delle madri verso i figli. Tutti potranno continuare a gridare “sporchi africani” dal web o “bruciamoli a mare” o dire che “non c’è posto per nessuno nell’Italia in crisi”, altri si iscriveranno ai corsi di arti marziali miste dove fanno punteggi anche i calci in faccia ed il ring è a forma di gabbia, altri giovani potranno girare in ambienti degradati e privi di valore identitario, nelle periferie dei nonluoghi, altri potranno trascorrere finanche nove ore in mano con il telefonino connesso alle peggiori notizie del mondo senza che un adulto gli faccia da mediatore, molti giovani potranno fare sexting con il telefono o accedere a contenuti per adulti pigiando semplicemente su yes alla domanda “sei maggiorenne”?
Noi riteniamo che la matassa violenta possa essere sviscerata e raccontata e possa essere affrontata, non risolta, ma affrontata con fermezza e con gioia, con un’azione intelligente ed urgente: #educareallapace.
Educare alla pace non è più roba solo da oratori o catechismo o da collettivi studenteschi è un’urgenza nazionale. Non è un compito solo per le scuole e per gli insegnanti, è un compito per tutti gli adulti sensati che vogliano fare altro oltre al tifo per la propria squadra.
Educare alla pace significa costruirla, agirla, ragionarla in gruppo, muoverla nei territori, farla avanzare nelle periferie, non solo discettare di massimi sistemi. Significa proteggere i territori dall’abbandono, denunciare ogni apologia della violenza, essere attenti agli esclusi, costruire ponti tra religioni diverse presenti nei territori, mappare le sacche di non dialogo presenti in città, garantire l’acqua a tutti e sorvegliare perché non divenga merce di scambio per nessun motivo al mondo, presidiare perché le politiche di lotta all’indigenza vengano rispettate, pretendere che le energie siano rinnovabili. Nessun metal detector ci difenderà ragazzini di 17 anni che guidano un furgone, nessun buttafuori ci proteggerà da un giovane ubriaco e drogato esperto di arti marziali, nessuna strategia mondiale dell’ONU ridurrà le liti violente nei condomini, nessun post su facebook potrà ridurre l’odio presente contro i poveri del mondo che circola indisturbato nel web. Solo una pressante ed intelligente educazione alla #pace potrà sottrarre terreno a rabbia e nichilismo e costruire ponti solidi nelle comunità. In quelle piccole, come una famiglia, un condominio, un quartiere, in cui il corpo ha ancora senso, in cui le mani e gli sguardi hanno ancora valore, le parole sono ancora o di bene o di calunnia e sono sacre, non si gettano, e nelle grandi comunità dove i violenti avvelenano le falde acquifere della comunicazione spargendo rabbia a milioni di persone, dove la comunicazione deve tornare ad essere ponte di pace e fonte di dialogo e non strategia di guerra.
È settembre e Caritas Benevento si dà questa priorità, per quest’anno: educarsi alla pace ed educare alla pace.
A proposito, noi cerchiamo costruttori di pace, liberi di sognare ma con tante azioni concrete da far avanzare sul nostro territorio. Sei libero?

ALTRI ARTICOLI

Torna in alto