«Per voi sono vescovo, con voi cristiano»

Alla Chiesa di Dio che è in Benevento

«Per voi sono vescovo, con voi cristiano»

 

Carissimi,

       all’inizio del nuovo anno pastorale mi rivolgo a tutti voi, in particolar modo ai sacerdoti e ai diaconi, ai consacrati e alle consacrate, a tutti gli operatori pastorali e ai fedeli che, in tante maniere, rendono vive, con la loro presenza, le nostre comunità. Vi scrivo per additare a tutti voi mete e obiettivi per l’anno pastorale 2025-2026.

         Nell’Assemblea di programmazione diocesana, tenutasi presso il Centro “La Pace” nello scorso mese di luglio, sono state formulate già diverse proposte da mettere in campo nel corso del nuovo anno pastorale, le quali dovranno intersecarsi con l’obiettivo da tempo additato, vale a dire restituire alla Scrittura Sacra la centralità che le spetta nella vita della comunità ecclesiale.

        Nello specifico, l’Assemblea di programmazione proponeva di: 1. costruire spazi e momenti concreti di dialogo tra laici e clero, per ascoltarsi, confrontarsi e decidere insieme le priorità e le azioni pastorali della comunità; 2. promuovere percorsi formativi di stile sinodale per preparare i laici all’assunzione di responsabilità reali anche nel governo della parrocchia e in tutti gli ambiti della vita pastorale, coinvolgendo attivamente sia chi già opera nella comunità sia chi ne avrebbe le potenzialità e la necessaria disponibilità; 3. promuovere nelle parrocchie un ministero di cura, di ascolto e di accompagnamento delle fragilità di quanti vivono nella sofferenza e nel lutto (valorizzando anche il sacramento dell’unzione degli infermi); 4. creare, nelle singole parrocchie, un “team” di esperti in materia giuridica, economica ed informatica che potrebbe interfacciarsi con un assistente diocesano del settore specifico.

       Proposte che postulano, tutte, l’assunzione di una visione sinodale, un percorso nel quale la Chiesa intera è impegnata ormai da anni. Si tratta di un cammino che chiede, a sua volta, l’assunzione decisa del Magistero conciliare, a partire dalla costituzione dogmatica Lumen Gentium, soprattutto il capitolo II su Il popolo di Dio, da non identificare solo con i fedeli laici, perché la categoria di “popolo di Dio” implica la totalità dei battezzati, ministri ordinati, consacrati, fedeli; ognuno è infatti ugualmente chiamato a farne parte e nessuno può chiamarsene fuori, perché ciò che ci accomuna, il Battesimo, è molto di più e molto più forte di quanto ci differenzi. Tutti siamo dunque “popolo di Dio”, vescovo, sacerdoti, consacrati, battezzati: «Se mi spaventa – dice Agostino – ciò che sono per voi, mi conforta ciò che sono con voi. Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano» (Discorsi 340,1).

      Ciò comporta che «il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo» (Lumen Gentium 10). Non dobbiamo difatti dimenticare quanto afferma san Giovanni: «Voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza» (1Gv 2,20). «Questa unzione spirituale – dice ancora Agostino – è lo stesso Spirito Santo, il cui sacramento consiste nell’unzione visibile» (Commento alla lettera di san Giovanni 3, 5). Né dobbiamo dimenticare che alla scelta di colui che avrebbe dovuto prendere il posto di Giuda nel Collegio apostolico prese parte l’intera comunità di Gerusalemme e non gli Apostoli soltanto (At 1,15-26).

      Potrà aiutarci, nel corso dell’anno, riflettere a fondo, e con continuità, sulla pagina biblica che narra l’incontro di Filippo con un funzionario della regina d’Etiopia Candace (At 8,26-40). Mentre era in cammino, l’apostolo incontrò sulla sua strada l’etiope, il quale era alle prese con un passo della Scrittura, e «udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: “Capisci quello che stai leggendo?”. Egli rispose: “E come potrei capire, se nessuno mi guida?”. E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui» (vv. 30-31). Coloro che sono preposti alla guida delle comunità – vescovo, sacerdoti, diaconi in primo luogo –, devono anzitutto cercare di capire la situazione delle diverse persone con cui entrano in contatto, quale sia la loro formazione, ciò di cui abbisognano («Capisci quello che stai leggendo?»); quindi accompagnarli nel cammino (Filippo sedette accanto all’etiope) con un’opera di formazione assidua (v. 35: «Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù»).

      Certamente, come insegna anche il Codice di diritto canonico (can. 536 § 1), il luogo ideale dove sperimentare, in modo concreto, il «dialogo tra laici e clero, per ascoltarsi, confrontarsi e decidere insieme le priorità e le azioni pastorali della comunità» (Proposta 1) è il Consiglio Pastorale, diocesano, zonale, parrocchiale. Bisogna quindi fare ogni sforzo perché esso funzioni davvero, non soltanto sulla carta. Allo stesso modo, è necessario che in ogni parrocchia sia presente il CAE (can. 532), organismo in cui far confluire «un “team” di esperti in materia giuridica, economica ed informatica» (Proposta 4), che potrebbero poi interfacciarsi con gli organismi diocesani operanti in quello specifico settore.

        Per «promuovere percorsi formativi di stile sinodale» idonei a «preparare i laici all’assunzione di responsabilità reali» (Proposta 2), uno strumento efficace è senza dubbio la lectio divina, la quale, se effettuata in gruppo potrebbe – come scrivevo nella lettera pastorale Lampada ai nostri passi – «basarsi anche sulla lettura del Vangelo della domenica successiva, ciò che favorirebbe una partecipazione più consapevole alla liturgia domenicale». Il metodo dovrebbe privilegiare il confronto tra Parola ed esperienza di vita, stimolando ogni singolo partecipante a interrogarsi sulla ricaduta che la Sacra Scrittura ha nel proprio vissuto – ad esempio: «Ci sono state situazioni nelle quali questa stessa Parola mi è venuta in aiuto? Oppure situazioni nelle quali ho agito contrariamente a quanto mi chiede?» – senza divagare su questioni generiche, così da evitare inutili dibattiti tra i presenti.

Gli animatori a guida dei gruppi (sacerdoti, religiosi o religiose, laici) dovranno favorire il più possibile la riflessione dei convenuti, evitando lunghe introduzioni: dopo la lettura del brano e un breve tempo di silenzio per interiorizzarne l’ascolto, una presentazione di 5-7 minuti è più che sufficiente a motivare le risonanze dei presenti. Le persone, infatti, vogliono essere anzitutto ascoltate, anziché ascoltare altre prediche. Compito di chi le guiderà sarà perciò di facilitarne gli interventi, correggendo eventuali deviazioni di rotta e scoraggiando discorsi troppo lunghi o il ripetersi di contributi da parte della stessa persona, per tirare alla fine una breve sintesi. Gli incontri, poi, dovrebbero concludersi nello spazio massimo di 60-70 minuti e i partecipanti non essere troppo numerosi (10-12 persone sarebbe il numero ottimale). Con una metodologia simile potrebbero essere condotti anche i Centri di ascolto nelle case, i quali sono anche uno strumento semplice ed efficace di pastorale missionaria e consentono l’incontro con persone che non sempre si vedono in chiesa.

In questi luoghi e incontri formativi, grazie all’ascolto della Parola di Dio, potranno scaturire anche nuove vocazioni per «promuovere», in modo fattivo, «un ministero di cura, di ascolto e di accompagnamento delle fragilità di quanti vivono nella sofferenza e nel lutto» (Proposta 3). Non dobbiamo d’altronde dimenticare che il prossimo 2026 sarà un anno “francescano”, nel senso che cadranno gli ottocento anni dalla morte del santo di Assisi – morì (secondo il nostro calendario) la sera del 3 ottobre 1226 –, il quale insegnava: «Beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile» (Ammonizioni XVIII, 1); e ancora: « Beato il servo che tanto è disposto ad amare il suo fratello quando è infermo, e perciò non può ricambiargli il servizio, quanto l’ama quando è sano, e può ricambiarglielo» (Ammonizione XXIV).

In data odierna la Chiesa celebra la memoria della Beata Vergine Maria del Rosario. Affido a Lei, la Vergine Santa, questo nuovo Anno Pastorale, salutandola con le parole di san Francesco:

«Ave Signora, santa regina,
santa genitrice di Dio, Maria,
che sei vergine fatta Chiesa
ed eletta dal santissimo Padre celeste,
che ti ha consacrata
insieme con il santissimo suo Figlio diletto
e con lo Spirito Santo Paraclito;
tu in cui fu ed è
ogni pienezza di grazia e ogni bene.
Ave, suo palazzo,
ave, suo tabernacolo,
ave, sua casa.
Ave, suo vestimento,
ave, sua ancella,
ave, sua Madre.
E saluto voi tutte, sante virtù,
che per grazia e illuminazione dello Spirito Santo
venite infuse nei cuori dei fedeli,
perché da infedeli
fedeli a Dio li rendiate» (Saluto alla beata Vergine Maria).
Maria, la Regina della pace, sia per tutti noi – in questi tempi difficili – modello di pace e di speranza.

 

Benevento, 7 ottobre 2025

 

† Felice, vescovo

 

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