Caritas aderisce all’Appello nazionale della società civile
di Angelo MORETTI
Perché ci siamo uniti in tanti, istituzioni del terzo settore, enti ecclesiali, scienziati dell’economia civile, in un Appello chiedendo al Governo di ascoltarci e convocarci nella progettazione sociale possibile del paese? Questa pandemia sembra parlare agli uomini e alle donne di oggi come farebbe una campana che dà la sveglia. Da quando ha iniziato a soffiare questa tormenta, come l’ha chiamata Papa Francesco, in Italia sono stati scoperchiati i tetti delle strutture più fragili del paese: prima le carceri sovraffollate, poi le case di cura e le RSA, poi gli homeless che non avevano soluzioni per la quarantena, poi i braccianti agricoli nei campi che sono “emersi” dal lavoro nero e terribile in cui erano stati inghiottiti, la sanità disuguale nelle Regioni, la sanità pubblica deficitaria di personale e di mezzi, i bambini e i ragazzi che sono scomparsi dal sistema scolastico semplicemente perché non connessi, le violenze domestiche che chiedono ancora una seria presa in carico, i medici di medicina generale dimenticati, non trattati come colonna del nostro welfare territoriale, la mancanza di una rete capillare di assistenze domiciliari, la nostra economia non al passo con l’attenzione all’ambiente e la crisi climatica.
La sciagura ha attivato altresì la fantasia della solidarietà degli italiani, sono fiorite le spese sospese, le maestre che raggiungono gli alunni sotto i loro balconi per un’ora di lezione, i panettieri che donano a chi ha bisogno, gli infermieri, gli operatori sociali, i medici, i tanti addetti degli ospedali che non hanno mollato il loro posto di responsabilità accanto all’umanità sofferente, gli educatori che non hanno preso nessuna distanza affettiva, è tornato il mare pulito, i delfini saltano a Procida, i cervi selvatici nelle campagne, i padri e le madri a casa con i figli e i figli che hanno trovato in casa una nuovo spazio di crescita e hanno dato un nuovo significato alla convivenza.
Di fronte a questa sciagura lo Stato Italiano ha agito certamente come poteva, ma anche con passo incerto, perché grande e inedita era la sciagura che lo ha colpito. Come un buon padre di famiglia, pur se animato da sane intenzioni ha agito saltando a piè pari in tanti passaggi il necessario coinvolgimento dei corpi sociali intermedi, nella convinzione che la sicurezza degli individui venisse prima dei legami sociali: sono saltati, dunque, quei molti tetti che erano già pericolanti prima della pandemia.
Ora che si parla di ripresa, di ricostruzione, di Fase 2, sarebbe un errore fatale continuare a confidare nei paradigmi superati, novecenteschi, dell’esercito e dell’ospedale, due simulacri del massimo rispetto delle regole e del massimo contrasto della malattia.
La Fase 2 deve essere la fase della community welfare, di una comunità che si fa welfare ed è capace di ridurre il distanziamento sociale con la presa in carico personalizzata delle tante persone che per essere messe al sicuro sono rimaste sole più che sicure; di coloro che non riapriranno la saracinesca della propria bottega; di chi, finita la cassaintegrazione, non troverà più l’azienda aperta.
È l’ora di agire collettivamente e sinergicamente con il to care di don milaniana memoria. Un to care che concerne i territori oltre che le persone, in cui i sindaci e le organizzazioni sociali possano riprogettare insieme i tanti percorsi esistenziali interrotti nei 5400 piccoli comuni italiani, in cui la tutela del lavoro e dell’ambiente ripartano insieme per una nuova economia che non sia solo quella del mainstreaming di “prima”, quella per cui il conflitto tra lavoro e salute diventava spesso ricatto tra la borsa o la vita, un to care che accoglie le persone con una disabilità sociale, gli anziani, i vulnerabili, non dentro le strutture ma dentro progetti personalizzati in cui welfare ed economia non siano facce contrapposte dello sviluppo, ma un unico approccio sistemico per rispondere alla crisi del “dopo” includendo gli altri e non semplicemente mettendoli in sicurezza, separandoli, o addirittura rifiutando l’accoglienza. Ci aspettiamo una recessione mai vissuta dal ’48 ad oggi e bisognerà reagire con creatività e generosità, non per mettere toppe sui tetti che hanno già ceduto, ma per costruire nuove forme di coesione sociale nelle città, nei comuni, nelle aree metropolitane, nelle aree interne.
Per queste ragioni ci siamo uniti in tanti in questo Appello al Governo, perché senza l’ascolto ed il coinvolgimento della società civile la Fase due potrebbe avere ancora gambe incerte e visioni corte.
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