Cultura del diritto e Ius Culturae. L’editoriale di Angelo Moretti
Centriamo subito il problema: il tanto dibattuto Ius Soli, che però in realtà è uno Ius Culturae, attiene alle sorti attuali di quasi 800 mila bambini nati in Italia da coppie di immigrati regolari.
A questi bambini la bozza di legge preparata dall’attuale legislatura, approvata alla Camera ma non ancora al Senato, risponde con un meccanismo che riconosce loro la cittadinanza a condizione che abbiano frequentato la scuola, sappiano parlare la lingua italiana e conoscano i principi fondamentali della nostra convivenza.
Il diritto storicamente ha due movimenti: forma la realtà che vuole governare oppure si forma dalla realtà per governarla. Ora è chiarissimo che ci troviamo in questa seconda condizione per gli 800 mila bambini che vengono etichettati come “diversi” nonostante la loro storia italiana solo perché la formazione del diritto dalla realtà sconta un ritardo. Un ritardo dovuto in gran parte alla nostra identità di nazione non colonialista e di popolo di emigranti più che di immigrati: in tutte le altri parti del mondo che già da decenni vivono con regolarità il fenomeno migratorio al proprio interno la questione è stata posta e risolta molto prima di noi. Addirittura negli Stati Uniti, che tanta fama di accoglienza non hanno, la questione è stata risolta con lo Ius Soli: se nasci qui da genitori stranieri regolarmente residenti “sei automaticamente dei nostri”, hai gli stessi diritti politici dei bambini americani. In Italia questa formazione dalla realtà del diritto ha ritardato di molto rispetto al resto dell’Occidente perché non sono solo piccoli i portatori di interesse che dovrebbero lottare per questo diritto ma erano tutto sommato ancora piccoli numeri fino a qualche decennio fa, fino al 1992 quando fu sancito lo Ius sanguinis ancora vigente.
Per la mole del dibattito che in questi ultimi mesi sta scaturendo da questa discussione, ci sembra indubitabile che il problema non sia questo movimento del diritto, ma lo spettro che una nuova norma che voglia governare e disciplinare in modo nuovo una condizione di vita oggi più ricorrente di ieri ( i figli degli immigrati regolari ) possa formare una nuova realtà: avere in futuro sempre più figli di immigrati con cittadinanza italiana in Italia. È questo” lo spettro” del dibattito.
Ora: con un po’ di serenità e senza guardare alle pance elettorali, vogliamo veramente dire che la migrazione dei popoli non sarà un fenomeno sempre più importante dei prossimi anni? Con un’Europa che tocca i livelli demografici più bassi della sua storia ( pari alla peste nera del 1300, rappresentando solo il 6% della popolazione mondiale) e la sola Nigeria che tra trent’anni diventerà una nazione più popolosa dell’intera Unione Europea, noi vogliamo davvero illuderci che tenere nell’irregolarità e nella estraneità migliaia e migliaia di bambini dell’Europa del futuro sia una cosa utile e saggia? Perché formare una realtà deviante se abbiamo la possibilità di sognare un futuro regolare e migliore per tutti? Con un’Europa che avrà nuovi cittadini Europei ed un Italia che avrà nuovi italiani, come in fondo accade da sempre, la cultura del diritto potrebbe fare la differenza e ancorare il futuro a quei 12 principi fondamentali della Costituzione che rappresentano il faro della nostra convivenza, la poesia più bella che possiamo fare imparare ai nostri bambini, tutti.
La realpolitik propone, per una possibile mancanza di 4 voti in Senato, di rimandare tutto alla prossima legislatura: ma si può insegnare alle giovani generazioni a smettere di lottare per un diritto solo per i calcoli di una possibile sconfitta? È giusto far passare il messaggio che non vale la pena lottare nè per quegli 800 mila bambini nè per quelli che arriveranno in futuro? Che cosa è la politica senza un sogno per cui lottare?
Noi pensiamo che lo Ius Culturae era un diritto scontato che andava approvato anni fa, ma visto che oggi è la causa di un intenso dibattito sulle radici stesse della nostra intelligenza sociale e della nostra Cristianità, un dibattito che schiera apertamente gli italiani per o contro un futuro possibile di accoglienza ed integrazione dei nuovi bimbi che nasceranno in questa terra, oggi sia più che mai urgente non rimandare a nessuno altro questa responsabilità. Far apparire l’Italia come un giovane studente universitario svogliato che rimanda prima un esame a settembre poi all’autunno e poi alla prossima sessione non è un comportamento degno del nostro popolo. Noi possiamo e dobbiamo fare di più per le generazioni che ci guardano, per i bimbi che dovranno avere stima di questi adulti che hanno in mano le loro sorti.
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