“Come si costruisce un sogno”

di Angelo Moretti

 

#BuonCompleanno al CSP #ÈpiùBelloInsieme“.
#16annifa, intorno alle due del pomeriggio, prendeva vita quella che poi divenne la prima #OperaSegnoCaritas Benevento, il Centro Sociale Polifunzionale per Disabili “È più bello insieme” che all’epoca si diede il nome ambizioso di “Comunità È più bello insieme”, non essendoci ancora le leggi sui csp, che vennero dopo. La comunità era la risposta che un gruppo sparuto ed inesperto di giovani Volontari Vincenziani voleva dare alle tante famiglie che denunciavano la solitudine dei propri figli: Pino, Walter, Vincenzo, conducevano vite relegate nelle mura domestiche o vissute girando la città in assenza totale di amici.
Un gruppo di giovani decise di ribellarsi a questo che sembrava un destino segnato, immaginando un posto, un luogo, dove chiunque avrebbe avuto il diritto a vivere in comunità. L’occasione fu ghiotta: le Figlie della Carità di Benevento lasciavano il loro istituto a via Marco da Benevento, dove oggi sorge l’Orto di Casa Betania, ad una scuola privata, ma per una intera estate, quell’immensa struttura che oggi è la Scuola Bilingue fu lasciata vuota e con la possibilità di svolgervi un campo estivo. Non ci facemmo scappare quella possibilità. Con il grande sostegno di medici psichiatri che aderirono al nostro progetto su base volontaria, Francesco Santucci, Fiorentino Serenelli, Elvia Fasulo, con il supporto premuroso di Roberto Ciarlo, presidente di una cooperativa sociale che poi avrebbe incrociato per sempre il destino del Centro, la Cooperativa La Solidarietà, e grazie ad un wolkswagen 17 cavalli condiviso negli anni ’60 da comunità di suore ed hippy, messo a disposizione anche esso dalle Figlie della Carità, alle ore 14 le prime persone segnalate e coinvolte dal DSM (Dipartimento Salute Mentale), salirono letteralmente a bordo di quel pulmino di 9 posti per cominciare un’avventura straordinaria in città. Carmelina “proprio”, donna di un’assertività incredibile, fu la prima a salire sul pulmino, poi seguirono tante altre e tanti altri.
Il campo era stato pensato per ospitare 10 persone, ma già dal primo giorno arrivammo a 30, doveva essere solo un’esperienza estiva ma quella estate del 2001 non si è mai più conclusa. Non sapevamo ancora nulla di Basaglia, di progetti personalizzati, Asl, PTRI: in pochi mesi si era costituita in città una nuova comunità di persone determinate ad andare avanti per il loro diritto alla felicità quotidiana ed al lavoro contro tutto e tutti.
Le persone che lottavano erano quelli che chiamavano i disabili le persone che le accompagnavano erano quelle che chiamavano volontari. Cercavamo la sede, i fondi, i mezzi, ma la comunità si faceva sempre più coesa. Per due anni vivemmo in una sola stanza al viale Attlantici presso i Missionari Vincenziani, dove la prima conquista fu riuscire ad avere l’accesso libero al bagno e la seconda di renderlo accessibile a tutti.
Il nostro primo vero tesoro fu un tavolo di ping-pong regalato dalla Caritas, attorno al quale tutti i pomeriggi si formavano file festose di persone in attesa del loro turno di gioco, la porta era sempre aperta e dava sulla strada, il numero di persone disabili e di volontari coinvolti cresceva in maniera naturale, bastava superare quella soglia per entrare in quella comunità sgangherata e forte.
Poi arrivò la Provvidenza del primo fondo #8permille del 2002, 24 mila euro, con il quale potemmo permetterci due veri laboratori di teatro e di ceramica; la prima vacanza al mare nel 2002, a contrada Panza, ad Ischia; la prima gara vinta all’Ambito B1, nel 2003, quando per la prima volta ci riconobbero ufficialmente come un servizio sociale per le persone disabili; l’ostilità dell’ASL che boicottava apertamente il riconoscimento del Centro perché non si considerava “bisogno socio sanitario” il #diritto alla socialità ed al lavoro delle persone con sofferenza psichica; le nuove sedi prima a via San Pasquale e poi dove oggi viviamo a San Modesto grazie al Comune di Benevento; i primi ragazzi del servizio civile; le prime battaglie forti, come quando le famiglie dei disabili occuparono simbolicamente l’atrio della Prefettura per chiedere che un servizio del genere non venisse messo a bando ogni anno ma si riconoscesse la libertà ad ogni disabile di decidere con un voucher in quale centro poter passare le proprie giornate senza essere costretto a scegliere solo ciò che gli altri avevano stabilito per lui o lei.
La battaglia fu vinta, e dal 2007, il Centro Sociale Polifunzionale per disabili adulti “È più bello insieme” è diventato una realtà stabile del nostro territorio provinciale, le vacanze al mare non hanno mai smesso di essere organizzate, le gite, le feste, i viaggi all’estero (Parigi), la Crociera sul Mediterraneo, la ricerca insieme delle occasioni di lavoro che portarono alla nascita dell’Orto di Casa Betania, le équipe che si formavano, i responsabili che si alternavano: Angelo, Serenella, Annarita, Mariaelena, Gabriella ed oggi la fantastica ed energica Giusy D. Togna.
Poi arrivarono i PTRI e la possibilità che ogni ragazzo o ragazza del centro potesse avere il suo progetto di vita personalizzato non solo la possibilità di scegliersi un centro.
Oggi contiamo e ricordiamo anche gli affetti delle persone che perdemmo, scomparse sotto i colpi della loro disabilità dopo aver lottato una vita intera per loro e per gli altri: Mariacarmela, Alberto, Ciriaco, Pellegrino, Mariapia, Maddalena, Antonio, la città probabilmente non intesterà mai a loro una via o una piazza, ma vi assicuriamo che queste vite spese a lottare contro i confini in cui la disabilità li aveva relegati sono le vite di cittadini illustri beneventani che con la loro vita ed il loro esempio di lotta e di resistenza, oggi la chiamiamo Resilienza, hanno reso questa città migliore, hanno reso i volontari persone migliori, hanno reso migliore la nostra Chiesa locale.
Chiudiamo con ciò che ci insegnò Renato, adulto con problemi di schizofrenia isolato nel suo comune del Fortore da stigma e disoccupazione. In una serata di verifica, a pochi giorni dall’inizio di tutto, a un gruppo di volontari affranti dal caldo e preoccupati di non essere all’altezza della situazione, un gruppo che si interrogava reciprocamente “abbiamo fatto la cosa giusta ad avviare questo campo?” Renato, che solo fortuitamente partecipò a quella riunione, non potendo ritornare a casa la sera, disse: “io vi ringrazio perché in questi pochi giorni voi mi avete fatto sentire come un accendino. Da solo non servivo a nulla, ma grazie alla vostra pressione di queste giornate trascorse insieme avete fatto uscire la mia fiamma, la mia voglia di vivere”. I volontari basiti restarono in religioso silenzio come un po’ deve essere capitato ai discepoli di Emmaus quando vedendo Gesù spezzare il pane si accorsero che era proprio Lui, lui di cui si stavano lamentando per l’improvvisa assenza. Quella sera i dubbi furono tutti fugati. Il centro continuò ad andare avanti senza mai fermarsi.

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