Misericordia e giustizia: l’impegno ecclesiale davanti alle povertà
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Misericordia e giustizia: l’impegno ecclesiale davanti alle poverta’
La Chiesa non può essere indifferente alle sofferenze degli uomini nelle città di oggi: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e degli uomini che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et Spes n.1). Se è vero che persiste – purtroppo anche tra gli uomini di Chiesa come ci dicono le cronache recenti – una cultura individualistica
“dell’ognuno per sé” che alimenta e incrementa l’ingiustizia, le comunità cristiane non possono non sentirsi interpellate da questo.
“Sappiamo –sottolinea Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si’” – che è insostenibile il comportamento di coloro che consumano e distruggono sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità alla propria dignità umana… La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo”.
Le forti povertà e diseguaglianze caratterizzano la nostra famiglia umana, e la sete di potere così come la crescita avida e irresponsabile mettono a dura prova il creato, senza curarsi delle generazioni future. Ma sono gli stessi giovani che esigono da noi un cambiamento ben sapendo che non è possibile costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi.
Pertanto oggi ‘giustizia’ non è più solo – né primariamente – dare a ciascuno il suo e non rubare. Il dovere di dare, di condividere, non è solo dovere di carità, ma è dovere di giustizia: la giustizia va intesa come l’attuazione della carità nella vita della comunità.
Nel Salmo 85 leggiamo: “Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia s’affaccerà dal cielo”. La giustizia è intimamente e quasi fisicamente unita alla pace, posta in stretta correlazione con l’amore e la verità. Cioè col modo di agire o addirittura di “essere” di Dio. Anche il rapporto con la legge va inteso nel senso peculiare d’Israele: Legge fonte di vita, dono diretto di Dio al suo popolo. I profeti denunciano l’infedeltà d’Israele e annunciano che Dio susciterà un “germoglio giusto” dalla discendenza di Davide: il messia si chiamerà “Signore-nostra-Giustizia” (Ger 23,5).
I due brevi riferimenti fanno almeno intuire perché Gesù sia chiamato “il Giusto”. Termine usato nei Vangeli anche per Zaccaria ed Elisabetta, Simeone, Giuseppe: la loro giustizia implica relazione di fedeltà a Dio. Per Gesù fare la volontà del Padre e camminare sulla via della giustizia si equivalgono. Il tema è centrale nelle Beatitudini: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati… Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,6.10).
La giustizia in termini moderni, in particolare riferita alla creazione di un ordine sociale ed economico giusto, è tutt’altra cosa? Esiste una giustizia secondo Dio e un’altra secondo gli uomini?
Non è precisamente così; e proprio il riferimento al Giubileo ci aiuta a chiarire il concetto e orienta il nostro agire. Prendiamo lo spunto dalla beatitudine sulla “fame e sete di giustizia”, prima di tutto per ricordare che nel Magnificat Maria loda Dio che “ricolma di beni gli affamati”: così evitiamo di spiritualizzare troppo il Vangelo. Poi richiamiamo una traduzione libera (e fedele) della stessa beatitudine: “beati quelli che desiderano ardentemente ciò che Dio vuole”. Che cosa vuole Dio? Che amiamo Lui e il nostro prossimo, che ci facciamo prossimo di ogni bisognoso, che costruiamo un mondo più giusto, in cui ci sia possibilità di vita per l’intera famiglia umana. Questo avviene quando vengono soccorsi l’orfano e la vedova, viene accolto il forestiero e liberato lo schiavo, si azzerano i debiti e ogni membro della famiglia umana recupera l’originaria dignità di figlio di Dio. Proprio quello che Israele era chiamato a fare, come parte integrante della sua fedeltà a Dio. Soprattutto nell’anno giubilare.
Gesù che proclama l’anno di misericordia del Signore dice le stesse cose: con lui la storia riparte per dono amoroso del Padre; “chiunque teme Dio e pratica la giustizia” (At 10,35) accoglie questo dono. Sta a noi praticare “religiosamente” la giustizia, desiderare ardentemente ciò che sta a cuore a Dio. A partire dalla scelta preferenziale dei poveri.
“A tutta la Chiesa italiana raccomando – ci ha detto papa Francesco a Firenze – l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune”.
Nell’enciclica Laudato si’, sottolinea che “la sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare”.
Da qui l’invito a un’azione pedagogica, per creare una “cittadinanza ecologica” che non si limiti a informare ma riesca a far maturare e a cambiare le abitudini in un’ottica di responsabilità:“occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo”.
E nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium (EG n.210) ci chiede di essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui nelle nostre città siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, i migranti,…
Ma anche alle nuove forme di schiavitù e alle diverse forme di tratta di persone: “Vorrei – aggiunge infatti papa Francesco – che si ascoltasse il grido di Dio che chiede a tutti noi: «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9). Dov’è il tuo fratello schiavo? Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità. La domanda è per tutti! Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta”.
Nuove ingiustizie e fragilità nelle nostre città
Sempre in EG al n°53, il Papa tratta dell’ Economia dell’esclusione e dell’inequità, in cui viene fotografata un genere di società, quella attuale, che considera molta gente neanche degna di essere sfruttata, ma semplicemente e drammaticamente da escludere; da cui, appunto, la cultura dello scarto. Ecco io direi che all’interno di ciò che il Santo Padre definisce cultura dello scarto si generano le nuove forme di esclusione e di sfruttamento.
Quando parliamo di queste forme nei diversi contesti territoriali è comunque importante avere presente un triplice volto di povertà:
– una povertà generata da non risposta a bisogni primari, quali: cibo, vestito, salute, casa, lavoro, studio, … è la povertà che conosciamo meglio, che incontriamo frequentemente e su cui siamo attivi; povertà questa in crescita e che sta intaccando, in modo crescente, interi nuclei familiari;
– una povertà generata da non risposta a bisogni relazionali a causa di: solitudine, abbandono, trascuranza, dimenticanza, … (anziani, malati mentali, carcerati, handicappati, immigrati, famiglie monoparentali, minori, adolescenti, …); povertà che generalmente non ha bisogno di risposte materiali ma di presenze e interventi che facilitino l’appartenenza, la buona relazione, la socialità, …;
– una povertà generata da non senso, non significato e da non valore dato alla propria e altrui vita (forme di autodistruzione: droga, alcol, bulimia, anoressia, eccessi di velocità, spericolatezze, gioco d’azzardo, shopping compulsivo, eccesso di esercizio fisico, dipendenza da lavoro, cyberdipendenza, …).
Occorre inoltre essere consapevoli che, a differenza di quanto accadeva fino ad un recente passato, oggi il concetto di fragilità è un concetto “contenitore”, in grado di descrivere bene la generalità del rischio di povertà e di marginalità sociale in cui si trova o può venirsi a trovare ogni persona, indipendentemente dal ceto sociale. Chiaramente la presenza di situazioni di fragilità dai contorni non sempre ben definibili esige non solo una “politica” più mirata ad affrontare le cause del fenomeno (il lavoro, la casa, il sistema dei valori, l’appartenenza culturale, la rete dei servizi alla persona e alla famiglia…), ma anche una crescita della solidarietà sociale e della prossimità nella presa in carico delle situazioni più deboli. Altra caratteristica è che nelle nostre città il disagio è in realtà una somma di precarietà e fragilità. Non è tanto e solo l’immigrazione, o la mancanza di lavoro, o il problema degli anziani soli o ancora la malattia mentale che caratterizzano il progressivo degrado dei quartieri, ma la somma di tutti questi fattori.
Tuttavia la sola analisi di ciò che non funziona e la sola distribuzione di servizi non bastano più. Occorre uno sguardo che sappia vedere lontano. Dobbiamo imparare a “leggere i territori” in termini di relazioni, contatti, progetti . Un impegno che deve portare a rispondere – come sempre – ai bisogni che ci vengono segnalati, ma anche ad anticipare i fenomeni e a intercettare il disagio prima ancora che si acutizzi.
Impegno di giustizia e di solidarietà: comunità cristiana e società civile
La Chiesa in particolare è chiamata in primo luogo a risvegliare le coscienze, anticipando i fenomeni e gli scenari futuri. Rifacendoci esplicitamente all’insegnamento di La Pira “teologo della città”, ribadiamo che per combattere quelle che egli chiamava le tre pestilenze (violenza, solitudine, corruzione) occorre riattualizzare e rivitalizzare le cinque vie indicate ai suoi tempi: il tempio, la casa, la scuola, l’officina, l’ospedale. In molte situazioni la Caritas, il volontariato, le diverse esperienze educative, la scuola, sono già un punto di riferimento importante, ma bisogna moltiplicare gli sforzi e stimolare sempre di più la politica.
La politica può ricominciare dalla “polis” a due condizioni: che vi sia una precisa presa di coscienza delle esigenze poste dalla scelta preferenziale dei poveri che è per il cristiano un principio evangelico e dunque non soggetto a compromessi; e che vi sia nei laici cristiani una nuova capacità di assumere in proprio l’onere e il rischio del governo della città. “Il cristiano laico in particolare, formato alla scuola dell’Eucaristia, è chiamato ad assumere direttamente la propria responsabilità politica e sociale.(Sacramentum Caritatis n.91).
L’impegno dei cristiani deve perciò tradursi in una sempre maggiore capacità di analisi delle situazioni, di proposta per la giustizia, di promozione del sostegno ai più deboli, di controllo sulle procedure in rapporto ai fini da conseguire. Da una parte, dunque, occorre svegliare l’attenzione delle amministrazioni pubbliche e, dall’altra, bisogna far sì che le presenze che già ci sono non si sentano abbandonate a se stesse, ma che invece siano rafforzate con supporti e reti. Un servizio dal punto di vista sociologico, ma anche uno stimolo pastorale.
A servizio di una pastorale non astratta, che si confronta quotidianamente con le persone, con i problemi, con lo sviluppo di un territorio. L’obiettivo è di non fermarci ai bisogni immediati. Bisogna puntare a rilanciare l’impegno nel campo delle politiche sociali con maggiore attenzione alla loro efficacia nei confronti dei destinatari, da valutare sulla base di “parametri di umanizzazione” da applicare soprattutto nella dimensione locale. Esemplificando, potrà dirsi valido un intervento sociale se emancipa i poveri, realizza giustizia, suscita libertà, diffonde umanità, promuove accoglienza, stimola partecipazione.
Mi preme anche mettere in rilievo l’esigenza di far crescere nella comunità ecclesiale la “stima per la politica” e in particolare la valorizzazione dei laici come membra vive di una Chiesa estroversa, impegnati a progettare e costruire la polis con intelligenza e generosità; soprattutto verso questi laici c’è bisogno di una Chiesa insieme responsabilizzante e fiduciosa, capace di ripensare l’educazione all’impegno sociopolitico, di rimotivare attenzioni sociali a tutto campo assumendo come prioritaria la tutela degli ultimi.
Con prontezza dobbiamo vigilare contro le povertà, l’emarginazione, la disoccupazione, la mancanza di case, il degrado dei territori, i comportamenti razzisti,ecc.
Così orientati, i percorsi pedagogici che possiamo sviluppare, devono portare gli amministratori locali (soprattutto chi vuol farlo da cristiano) a valorizzare sia i soggetti deboli che i soggetti solidali: concepire gli uni e gli altri come risorse per il vero sviluppo (sociale, umano, culturale oltre e più che economico) delle comunità locali.
Povertà, miseria, sviluppo sostenibile: oltre i dati statistici
Papa Francesco, nel Messaggio per la Quaresima 2014, ha spiegato la differenza tra povertà e miseria: “La miseria non coincide con la povertà; la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza. Possiamo distinguere tre tipi di miseria: la miseria materiale, la miseria morale e la miseria spirituale. La miseria materiale […] tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana: privati dei diritti fondamentali e dei beni di prima necessità quali il cibo, l’acqua, le condizioni igieniche, il lavoro, la possibilità di sviluppo e di crescita culturale”.
Questa distinzione ci offre come cristiani un’importante indicazione di impegno: orientare la nostra azione primariamente verso tutti coloro che rischiano di vedere interrotti i legami sociali e negati i diritti fondamentali e, con essi, la possibilità di futuro.
Gli ultimi dati Istat confermano che oltre 4 milioni di persone nel nostro paese vivono in condizioni di povertà assoluta, come anche evidenziato dalla realtà dei centri di ascolto e dei servizi Caritas a livello territoriale, che tratteggiano, nel complesso, i contorni del fenomeno. Il Rapporto 2015 sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia (14° della serie) pubblicato da Caritas Italiana in occasione del 17 ottobre, Giornata mondiale di lotta alla povertà, denuncia sin dal titolo, “Povertà plurali” l’intenzione di esplorare questo scenario complesso. Povertà plurali apre infatti una finestra sullo sfaccettato e poliedrico fenomeno della povertà e dell’esclusione sociale. Più di 53 milioni di persone nell’Unione Europea non riescono a soddisfare in modo stabile l’esigenza di un pasto adeguato. A fronte di una media del 10,5%, in Italia sono il 14,2% della popolazione, con un incremento record del 130% in 5 anni. Una situazione allarmante confermata dai 6.273.314 di pasti erogati nel corso del 2014 da 353 mense diocesane, e dai 3.816 centri di distribuzione viveri, promossi da 186 Caritas diocesane, che si fanno carico di un vasto bisogno alimentare di persone e famiglie, italiane e straniere. E – come emerge dal monitoraggio nazionale dei servizi di aiuto alimentare promossi dalle Caritas diocesane – troviamo sia forme tradizionali di aiuto (mense e centri di distribuzione di pacchi viveri), sia quelle a carattere più innovativo e sperimentale (empori o market solidali, progetti di agricoltura sociale, gruppi di acquisto solidale).
Sono solo alcuni degli elementi emersi dal Rapporto di Caritas Italiana presentato a Expo all’interno del Convegno “Diritto al cibo. Interventi di prossimità e azioni di advocacy”, incentrato sul tema della povertà alimentare a Milano, in Italia e in Europa. Proprio nella Giornata mondiale di lotta alla povertà, il Convegno ha cercato di inquadrare il tema del cibo e degli aiuti alimentari nella cornice complessiva delle diverse forme di povertà.
Il Rapporto Caritas prende in esame i dati dei centri di ascolto, le principali tendenze di mutamento dei fenomeni di povertà, i percorsi di presa in carico delle persone e famiglie indigenti; ma anche i dati sui progetti anticrisi economica delle diocesi, la sintesi di un’indagine nazionale sul problema della casa (condotta assieme a Sicet-Cisl), oltre a orientamenti e raccomandazioni in tema di politica sociale e di coinvolgimento delle comunità locali.
Grazie ai dati raccolti da 1.197 centri di ascolto Caritas in 154 diocesi italiane, è possibile avere un quadro dei bisogni espressi. Al primo posto quelli legati alla povertà economica (54,6%), seguiti dai problemi relativi al lavoro (41%) e abitativi (18,2%). Le richieste più frequenti riguardano beni e servizi materiali (58%), l’erogazione di sussidi economici (27,5%) e la ricerca di lavoro (17,4%).
In base a un confronto tra i primi semestri di ogni anno, nel periodo 2013-2015 si evidenziano alcuni trend dei fenomeni di povertà. In particolare aumentano gli italiani (+4,1%) e aumentano le richieste avanzate da famiglie monogenitoriali e altri tipi di famiglie senza coniugi né partner conviventi (+10,2%).
Eloquenti anche i dati delle risposte messe in atto a livello ecclesiale: 1.169 progetti anti-crisi economica delle diocesi italiane, di cui 171 fondi diocesani di solidarietà e 140 progetti di microcredito per famiglie e/o piccole imprese, 865 Progetti Otto per mille Italia, attivati dal 2012 al primo semestre 2015, dalle Caritas diocesane con il sostegno della Conferenza Episcopale Italiana e l’accompagnamento di Caritas Italiana. Questi ultimi solo nel 2014 sono stati 290 per un importo complessivo di oltre 30,5 milioni di euro.
Va inoltre segnalato un aumento anche della richiesta di soli interventi di ascolto, spesso ripetuti nel tempo.
Questo risulta molto importante per approfondire i processi di generazione degli stati di povertà, lo sviluppo storico nel tempo delle varie biografie individuali e famigliari, le cause scatenanti delle diverse situazioni di indigenza economica. L’esperienza di ascolto delle persone e delle famiglie in situazione di povertà consente di cogliere allo stato nascente determinati processi di deriva sociale, in occasione di particolari momenti critici – quali la perdita del lavoro, la separazione, il divorzio, l’uscita dal carcere, lo sradicamento dai propri territori, ecc. – ai fini di attivare specifici interventi di protezione e cura. Tutto questo attraverso un impegno locale, nelle città e nei territori, ma con un ‘attenzione sempre globale.
Conclusione
Sarebbero molte altre le considerazioni da fare, ma concludendo possiamo dire che colmare lacune, ingiustizie e ritardi nella redistribuzione delle risorse, in primo luogo combattendo la povertà e l’esclusione sociale, resta il fine da rimettere al primo posto nelle amministrazioni delle città, rimodellando su di esso le scelte operative e le relative priorità. Vanno quindi trovate soluzioni convincenti.
La Costituzione della Repubblica Italiana suggerisce una strategia, basata sull’incontro tra diritti e doveri sociali, che, riducendo le debolezze costitutive dell’individualismo, potenzia al massimo i valori aggiunti che una solidarietà responsabile può garantire a tutti, quindi ad ogni persona, anche a quelle più fragili e più deboli.
Dal canto suo la Chiesa – raccogliendo l’appello di papa Francesco al n. 15 della Misericordiae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia – continuerà “ a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta” per non cadere “nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge…”
E soprattutto avendo come indicazione i due verbi utilizzati sempre dal Papa al numero 207 di EG: “occuparsi creativamente e cooperare con efficacia”. Occuparsi creativamente, ossia non in maniera estemporanea, né approssimativa e neanche ripetitiva, ma creativa, vale a dire in maniera sempre nuova, dinamica, generativa… E poi cooperare, ossia operare con. Cooperazioni, collaborazioni a favore del bene comune assumono diverse connotazioni e generano alleanze al fine di essere esse stesse, anzitutto, già un buon frutto di bene. Cooperare con efficacia, ossia alleanze non soltanto sulla carta, non protocolli sterili, ma vivificati da azioni concrete. La cooperazione sarà tanto più efficace quanto più intenti comuni sono convergenti, si incontrano ed interagiscono tra di loro, cercando, come insegna san Paolo, ciò che ci unisce e non ciò che ci divide.
Questo è quanto tutta Italia ha potuto registrare della vostra terra, in questa Chiesa, di questa Caritas. Auguro a tutti voi di poter proseguire, nella comunione, verso la costruzione del bene comune.
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